LA MIGLIORE PASTA DA CUOCERE. Non c’è dubbio che i “pizzoccheri”, le tagliatelle a base di grano saraceno della Valtellina (con tutto che in quelli industriali c’è ben il 75% di semola di frumento duro e solo il 25% di farina di grano saraceno), siano in sé, per profondità di sapore e ricchezza di antiossidanti (polifenoli), la migliore pasta da cuocere in Italia, e quindi del mondo, se mi è consentito il sillogismo. Non bastasse il loro sapore carico, unico, scuro e profondo, ci sono centinaia di studi scientifici seri a dimostrare il valore altamente protettivo del saraceno.
MA NON VANIFICHIAMO L’AZIONE ANTIOSSIDANTE DEL SARACENO COL TROPPO GRANO DURO, E PURE RAFFINATO. Peccato solo che per necessità di pastificazione, volendo competere con le altre paste da cuocere (in Italia c’è la fissazione della pasta che “non deve scuocere”, anziché quella del sapore e della completezza di sostanze nutritive, antiossidanti e protettive…), il saraceno integrale sia addizionato da un’eccessiva quantità di semola di grano duro, al fine di formare nell’impasto con l’acqua quella rete strutturale di glutine necessaria a evitare che i pizzoccheri si spappolino durante la cottura. E, stranamente, questa semola di grano duro aggiunta non è neanche integrale, come invece è quella con cui si fanno tanti tipi di pasta integrale presenti ormai in ogni supermercato, che la cottura la reggono. Perché questa strana incongruenza scientifica e arretratezza tecnologica?
Due obiezioni-suggerimenti, perciò, ci permettiamo di indirizzare ai produttori: 1. Nell’impasto industriale bisognerebbe aumentare la quantità di farina di saraceno e diminuire quella della semola di grano. Altrimenti i pizzoccheri non sono più “di saraceno”, ma “al saraceno”. 2. La semola di grano duro aggiunta deve essere integrale, cosa non solo tecnicamente possibile ma molto utile, come dimostrano le tante marche industriali di paste integrali di grano duro, biologico o no, passate in rassegna in una nostra inchiesta-guida che analizza le paste integrali in commercio. E tutte tengono discretamente la cottura, alcune benissimo. Anzi, le paste integrali di grano duro tengono la cottura come o meglio dei pizzoccheri, che hanno il 75% di grano duro non integrale! Ma, insistiamo, in una pasta di qualità eccezionale come i pizzoccheri, che noi salutisti e naturisti ricerchiamo e pubblicizziamo ovunque perché protettiva, in quanto il saraceno è ricco di polifenoli e antiossidanti, è assurdo che i produttori stiano poi a lesinare sulle fibre e gli antiossidanti della semola di grano duro impiegando una semola carente di antiossidanti come quella raffinata, oggi ritenuta non protettiva, anzi a rischio, quindi biologicamente scadente, oltretutto col pericolo di vanificare nei pizzoccheri l’azione protettiva e salutare del saraceno. Anche la semola aggiunta, insomma, deve essere, se non biologica, almeno integrale.
MA POI, FARLI IN CASA NON E’ DIFFICILE. Invitiamo, perciò le nostre lettrici che hanno “le mani in pasta” a preparare gli squisiti pizzoccheri freschi in casa. Per chi non abita a Teglio il problema è, semmai, trovare in negozi e supermercati la farina di saraceno più fresca e integra possibile. E vi assicuro che, con quello che costa (per le deboli di cuore tirchie: preparatevi a sborsare dai 3 ai 4 euro per 1 kg; ma con con questo quantitativo sfamerete un reggimento…), un’attenta scelta della farina è essenziale. Una delle migliori farine, e anche discretamente distribuita, è quella del mulino Tudori di Teglio (non so a Milano; ma a Roma ce l’ha il solito Castroni, quello di via Cola di Rienzo), provata tante volte per la mia squisita e famosa polenta scurissima di solo saraceno.
Ma i lettori, soprattutto quelli lombardi, che non sappiano o non abbiano tempo di prepararli da sé, sono invitati a cercare sul mercato locale tipi e marche di pizzoccheri secchi che contengano una più alta percentuale di saraceno che non il modesto 25% delle marche più diffuse. Anche i pizzoccheri del piccolo mulino Filippini di Teglio, ha fatto sapere un lettore (v. articolo-guida alle Paste Integrali), hanno le medesime proporzioni, con lo svantaggio che costano molto di più.
ED ECCO I BUONI PIZZOCCHERI CHE SI TROVANO IN GIRO. La composizione nutrizionale dei pizzoccheri industriali (riportata p.es. sulla confezione della marca “Moro”) è per 100 g: proteine 12,9 g, carboidrati 65,6 g (di cui zuccheri 4 g), grassi 2,5 g, fibre 6,5 g, calorie 337 kcal.
Ma il loro primato indiscutibile si ferma alla spianatoia delle ultime casalinghe che li preparano in casa (immagine qui sotto) o alla scatola di quelli secchi industriali. Mentre è a tavola, per colpa d’una ricetta sbagliata, tramandata come “tradizionale” mentre è abbastanza recente, che casca l’asino.
E sì, perché non solo ci sono due forme di pizzoccheri (lunghi e corti: sono migliori tagliati corti se vanno conditi a strati e gratinati), ma anche due tipi diversi. L’industria pastaia fa i pizzoccheri secchi addizionando alla farina di saraceno troppa semola di grano duro, (v. la confezione in scatola di cartone, marca “Moro”, secondo noi la migliore), mentre per realizzare i pizzoccheri freschi – da farsi sul momento in casa o nella cucina d’un ristorante – può in teoria essere aggiunta meno semola, anche se poi nella realtà a molti ristoratori auto-produttori e casalinghe scappa di usare, ahimè, anche farina bianca di grano tenero, che invece non dovrebbe essere usata. E invece, in entrambi i casi sarebbe preferibile, per non disperdere il potere protettivo in un cereale così ricco di polifenoli antiossidanti e di fibre, l’aggiunta rispettivamente di semola e farina integrale, e solo quel tanto che basta a far “tenere la cottura” ai pizzoccheri, che altrimenti sarebbero privi di glutine.
IL PROBLEMA E’ LA RICETTA TROPPO RICCA E POCO SANA. “TRADIZIONALE”, SI’, MA D’UNA TRADIZIONE TROPPO RECENTE. Ma i peccati più gravi sono quelli nel condimento in cucina. La ricetta dell’intera pietanza, come codificata oggi dalla benemerita (per carità, siamo i primi a riconoscerlo) Accademia del Pizzocchero di Teglio (riportata qui sotto), a nostro avviso è un po’ da rivedere. E’ “tradizionale”, sì, ma d’una tradizione troppo recente, e anche storicamente abbastanza illogica. Buona, buonissima, figuriamoci, ma meno saporita di quanto potrebbe essere, e anche – con quello che si sa oggi di scienza degli alimenti e di medicina – poco sana. Si tratta chiaramente di una elaborazione moderna, che non ha niente a che fare con la Tradizione più antica, come dimostra innanzitutto la presenza della patata.
L’amido aggiunto all’amido? Forse perché le donne valligiane non avevano abbastanza saraceno e dovevano “allungarlo” per riempire i piatti? Ma non era un piatto della festa, cioè da montanari abbienti? E dunque, di saraceno dovevano avere la soffitta piena. Anche perché, altrimenti cadrebbe la tesi della Valtellina patria elettiva del saraceno in Italia. Un’aggiunta, quella della patata, che fa discutere i cultori di storia dell’alimentazione, perché è posteriore all’introduzione del saraceno.
UN PO’ DI STORIA. Vi ricordate i racconti della bisnonna su quelle vecchine tutte in nero che in chiesa sedevano sempre in prima fila a recitare rosari e se la intendevano a meraviglia col parroco? Erano le “bizzòchere” o beghine. Ditemi voi che c’entrano con le squisite tagliatelle di grano saraceno, detti pizzoccheri (ahimè, medesima etimologia). Perché anche questi benvoluti da Dio, ammesso che esista, perché sono scuri, perché boccone preferito di quei ghiottoni dei preti (cfr.: strozzapreti)? Non si sa. Fatto sta che il grano saraceno, noto in Italia già nel 1550 (Matthioli) introdotto dall’Asia centrale, probabilmente si diffuse in Valtellina e nel Nord-est dell’Italia al più tardi alla fine del XVII secolo, ovvero almeno 150 anni prima che la patata si diffondesse dappertutto alla fine dell’Ottocento, superando – anche per l’opera divulgatrice di Alessandro Volta – l’ostinata opposizione di contadini, montanari, preti e medici del Settecento che la ritenevano velenosa (non a torto, forse, prima che si ingentilisse riducendo la solanina con le ripetute coltivazioni e la selezione agricola). Proprio i montanari, insomma, quel dannato “tubero del Diavolo” non lo volevano”! Fatto sta che i “perzockel” sono citati nel 1797, mentre i “pizzoccheri” solo dal 1834 (Massara, Balardini), e conditi solo con burro e formaggio. Invece interessa solo i cultori di storia locale, non un sito di alimentazione e nutrizione, quale sia l’esatta area storico-geografica di origine di questa pasta.
LE PATATE? HANNO QUALCHE, DICIAMO COSI’, DIFETTUCCIO… D’altra parte, in appoggio involontario alla tradizione primaria dei pizzoccheri che non parla di patate aggiunte, oggi la scienza della nutrizione è contraria a un uso eccessivo o regolare di patate come complemento o sostituto dei cereali, tanto più se questi sono integrali, quindi ricchi di fibre e antiossidanti, come il grano saraceno. Primo, perché la patata non è un ortaggio che fa parte delle verdure (eppure, così è considerata nelle statistiche di consumo negli Stati Uniti e in altri Paesi…), e quindi non serve a compensare la carenza di verdure nella ricetta “tipica” dei pizzoccheri. Secondo, perché il saraceno, che se c’è la patata è meno presente, è molto protettivo, mentre la patata non lo è affatto: quindi una sostituzione in perdita. Perché “diluire” proprio il migliore e più antiossidante dei cereali, e per di più con un tubero che è a rischio se troppo consumato?
L’amido della patata, infatti, per l’abbondanza di amilopectina è assimilato rapidamente (un “pregio-difetto” tipico anche del riso), a differenza dell’amido del frumento e degli altri cereali (compreso il saraceno), e anche dei legumi, più dotato di amilosio che è meno digeribile e assimilabile. Così l’amido della patata, a differenza di quello del saraceno, è metabolizzato rapidamente e totalmente nel monosaccaride glucosio, più dello stesso zucchero da cucina (saccarosio) che è un disaccaride, quindi vuole un minimo lavoro metabolico di trasformazione. Perciò l’amido della patata alla fine richiede una forte secrezione di insulina. Ha, cioè, un indice glicemico altissimo, in certe preparazioni addirittura più alto (p.es. 120) non solo dello zucchero ma addirittura del glucosio stesso (che ha indice 100). L’indice glicemico, è vero, non è l’unico criterio che va valutato negli amidacei, non è un criterio preciso, e cambia a seconda delle preparazioni gastronomiche e dei soggetti. Però è un dato indicativo. E comunque, in una dieta ormai ricca di zuccheri semplici (dolci) come quella moderna, l’andare a scegliersi tra i farinacei proprio quelli in cui l’amido si comporta come uno zucchero semplice, è poco prudente. Ecco perché in tutto il mondo l’eccesso di patate e riso bianco fa mettere le mani nei capelli a terapeuti e dietologi, e a lungo termine non giova certo a prevenire, anzi è un fattore epidemiologico di rischio per obesità, diabete alimentare, ipercolesterolemia, malattie cardiache, e addirittura tumori al colon-retto. Ci sono studi che collegano l’uso regolare della patata a una più alta incidenza statistica di questa malattia. Le patate, sia chiaro, non vanno criminalizzate. Sono squisite e di per sé sane (specie se non fritte e con la buccia, in diete sane e integrali), ma se sono inutili o sostituibili, è meglio evitarle.
BURRO ROSOLATO… Ma quello che allarma ancora di più, e senza attendere il “lungo termine”, sono i 200 g di burro per 4 persone previsti dalla ricetta ufficiale (e, anzi, qualche tempo fa erano di più…), che secondo la ricetta ufficiale non va aggiunto crudo sui pizzoccheri bollenti affinché si sciolga, come si dovrebbe, ma prima va ben cotto e rosolato. Tutto questo oggi è considerato inutilmente rischioso per la salute. E invece? Il burro va aggiunto crudo e in minor quantità direttamente nella zuppiera e lasciato fondere al calore dei pizzoccheri, oppure – meglio ancora – va sostituito con ottimo olio d’oliva, che ormai da condimento mediterraneo si è imposto per motivi di salute come condimento universale (tanto più, ironia del caso, che oggi crescono “eroici” olivi perfino in Valtellina!).
TROPPO POCHE VERDURE. Scarsa di verdure. Come se non bastasse, di fronte a tanto burro cotto e formaggio, meraviglia la scarsissima quantità di cavolo verza, o comunque di verdure (bieta, detta anche “coste”, broccoletti di rape, spinaci ecc.) prevista nella ricetta, di fronte a un eccesso di patate: un segno ulteriore della tipica ignoranza nutrizionale del Novecento, quando verdure e patate erano considerate insieme degli “ortaggi”. Mentre oggi sappiamo che le verdure verdi, a differenza dei tuberi amidacei, hanno un alto potere protettivo, vitaminico e antiossidante. Anzi, ad essere pignoli, la tradizione eccedeva in verdure. In ogni casolare non si faceva che mangiare verdure in zuppe, in contorni, in insalate e in torte rustiche: una caratteristica uniforme della povertà antica, dagli antichi Etruschi fino agli anni 50 del ‘900. Perciò l’avarizia di verza nella ricetta dei pizzoccheri (appena 200 g per 4 persone, che dopo la cottura è quasi nulla, quando una porzione-tipo sarebbe di 250 g a persona) è altamente sospetta di modernità, cioè di rifacimenti da parte di cuochi di ristorante o di massaie d’oggi. Proprio come la scarsità di broccoletti di rapa nelle orecchiette della Puglia, ormai irriconoscibili.
Per di più, la tecnica di bollitura tradizionale in acqua abbondante della verdura oggi è considerata sbagliata, perché nell’acqua che poi si getta via con la scolatura, si perdono gran parte dei sali minerali ed altre sostanze. Le verze, perciò, andrebbero in teoria cotte a parte, come si faceva anticamente per quelle abbinate agli gnocchi (G. Bianchini), oggi in tempi salutistici al vapore e in pentola a pressione (che conserva al massimo i nutrienti e perfino gran parte dei preziosi glucosinolati anti-cancro tipici dei cavoli e delle rape), poi tagliate e aggiunte solo all’ultimo momento nella zuppiera, alternando gli strati di pizzoccheri e formaggio. Ma gli antichi valligiani non potevano saperne quanto i nutrizionisti d’oggi.
Più gravi gli errori di cuochi e casalinghe moderni, che sono riusciti a normalizzare, banalizzare, rovinare un piatto che nasceva per conto suo forte e salutare, tanto da renderlo non solo più pesante e dannoso, ma anche molto meno saporito che in passato, facendo somigliare i pizzoccheri ad un piatto di pasta come tanti di oggi.
E SE CAMBIASSIMO RICETTA? Perciò, è tempo di aggiornare le attuali ricette, che evidentemente sono piuttosto recenti, trasformate e arricchite in tempi di ricchezza e abbondanza, forse del primo Novecento, o addirittura del secondo dopoguerra, sia quella per i pizzoccheri freschi fatti in casa, sia quella – leggermente più sensata – suggerita sulla scatola dei pizzoccheri secchi dei vari pastifici (p.es. quello marca “Moro”). Cerchiamo di gustare i pizzoccheri al meglio delle possibilità organolettiche e protettive del grano saraceno, come è logico ritenere che si facesse ai tempi dell’importazione del saraceno in Italia, quando la patata non si sapeva neanche che fosse, e le verdure regnavano incontrastate in tutte le cucine d’Italia e d’Europa, anzi, per dirla tutta, di verdure “non se ne poteva proprio più”.
E LE ERBE AROMATICHE? E non parliamo delle erbe aromatiche, tutte sparite. Eppure erano sicuramente abbondanti al tempo, e le coste assolate della Valtellina hanno sicuramente la santoreggia montana, il timo serpillo e altre erbe. Anche la salvia, che altre versioni citano, è sparita dalla ricetta “ufficiale”.
METTIAMO IN EVIDENZA… I PIZZOCCHERI. Con il loro caratteristico sapore scuro, terrestre, che ricorda vagamente il cacao per via di alcuni polifenoli in comune, i pizzoccheri sono di per sé la pasta più ricca di gusto? Ebbene, allora mettiamoli in evidenza, diamogli il primo piano. Si può capire che la produzione di saraceno valtellinese sia scarsa, ma questo non deve essere la scusa per trasformare un piatto di pizzoccheri in un’insalata russa in cui il saraceno è in minoranza, e tutto il gusto, come nelle banali e dannose pastasciutte di grano raffinato, viene dalla salsa o dal condimento pesante. Perciò accostiamo pure i pizzoccheri a molta verza, cotta a parte in modo non distruttivo, e condiamoli con olio extravergine d’oliva, erbe aromatiche adatte sbriciolate sul momento nella teglia di porcellana, come santoreggia, timo serpillo ecc. Ma aumentiamo la percentuale di pizzoccheri, a costo di far venire il saraceno dalla Cina!
Se proprio – perché no? – piace il sapore pannoso del burro (ma non basta il formaggio?) basta aggiungere qualche ricciolo di burro, assolutamente crudo, e dargli tempo di fondere nei pizzoccheri caldi.
TUTTI I MODI DI GUSTARE L’OTTIMO SARACENO. Ma poi, non ci sono solo i pizzoccheri: tanti sono gli impieghi del grano saraceno. Un “cereale” (sì, è un cereale: il termine non è botanico, ma storico e alimentare) squisito il semino piramidale di questa piccola pianta delle Poligonacee, prezioso nelle virtù e anche nel costo, che merita di essere consumato molto di più in almeno quattro forme, senza contare l’antica tradizione lombarda degli sciatt:
1. Minestra di chicchi integrali di saraceno: delicata e dal gradito sapore di nocciola.
2. Polenta scura di sola farina di saraceno. Di gran lunga la migliore polenta in assoluto, per gusto profondo, aroma, morbidezza, assenza di granuli fastidiosi della polenta di mais, per abbondanza di polifenoli protettivi, proprietà antiossidanti e preventive. Richiede pochissimo condimento: vietate le salse, vietato il pomodoro e tutti i sapori acidi e coprenti. Adattissime le erbe aromatiche come timo e serpillo, l’olio extravergine, la ricotta o i formaggi di malga, gli ortaggi. E se burro deve esserci, che sia crudo.
3. Polenta taragna, cioè quella mista di farina di saraceno e semola di mais: si rassoda subito sul tagliere. Certamente è più gustosa, meno banale e meno insipida della polenta gialla di mais, che abbisogna di molto condimento per essere mangiata.
3. Crespelle di farina, che si possono anche preparare senza uova, grazie al forte potere agglutinante del saraceno. Deliziose con noci e miele, o con formaggio fondente di alpeggio o gorgonzola.
4. Pizzoccheri, corte fettucce di pasta (fresca fatta in casa o meglio secca addizionata di grano duro). In quest’ultimo caso di cottura lunghetta e di ancor più duraturo godimento.
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Proprietà nutrizionali e preventive del saraceno. Un articolo su questo stesso blog raccoglie una sintesi di studi scientifici sul valore nutrizionale e altamente protettivo del saraceno.
Nuovi impieghi gastronomici in una pietanza storica di Etruschi e antichi Romani. Un altro articolo, consiglia di utilizzare i pizzoccheri per una originale e più salutare interpretazione d’un millenario dolce rituale delle feste di fine anno, noto come “maccheroni dolci con le noci”, che rischia ormai di essere rovinato dalla modernizzazione.
LE RICETTE. Ma torniamo alla pietanza classica dei pizzoccheri della Valtellina, definita come “tradizionale”:
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Pizzoccheri: ecco la ricetta contestata, troppo moderna e grassa (troppo burro e formaggio, troppo poche verdure, patate).
Ingredienti (per 4 persone):
400 g di farina di grano saraceno
100 g di farina bianca
200 g di burro
250 g di formaggio Valtellina Casera dop
150 g di formaggio in grana da grattugia
200 g di verze
250 g di patate
uno spicchio di aglio,
pepe
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Mescolare le due farine, impastarle con acqua e lavorare per circa 5 minuti. Con il matterello tirare la sfoglia fino ad uno spessore di 2-3 millimetri dalla quale si ricavano delle fasce di 7-8 centimetri. Sovrapporre le fasce e tagliarle nel senso della larghezza, ottenendo delle tagliatelle larghe circa 5 millimetri.
Cuocere le verdure in acqua salata, le verze a piccoli pezzi e le patate a tocchetti, unire i pizzoccheri dopo 5 minuti (le patate sono sempre presenti, mentre le verze possono essere sostituite, a secondo delle stagioni, con coste o fagiolini).
Dopo una decina di minuti raccogliere i pizzoccheri con la schiumarola e versarne una parte in una teglia ben calda, cospargere con formaggio di grana grattugiato e Valtellina Casera dop a scaglie, proseguire alternando pizzoccheri e formaggio.
Friggere il burro con l’aglio lasciandolo colorire per bene, prima di versarlo sui pizzoccheri. Senza mescolare servire i pizzoccheri bollenti con una spruzzata di pepe..
1. Pizzoccheri: ecco la ricetta completa (pasta, verdure, formaggio), ma più salutare, saporita e dietetica.
Ingredienti per 4 persone:
500 g di pizzoccheri
60 g o poco più (4-5 cucchiai) di olio extravergine di oliva, meglio se nuovo di frantoio, versato solo nei piatti, a crudo: un cucchiaio a testa
300 g di buon formaggio fondente di media stagionatura e saporito. Non la fontina, semmai il taleggio stagionato. Se proprio siete disperati, due terzi di caciotta più un terzo di ottimo gorgonzola piccante.
600 g di cavolo verza (o cavolo nero, bietola, rape, broccoletti di rape ecc.). Vanno bene i sapori solforosi.
1-2 spicchi di aglio spremuto
erbe aromatiche (timo, serpillo, santoreggia, origano ecc.) a volontà. pepe nero.
Utilizzare i pizzoccheri secchi (p.es, la marca Moro o quelli di Conad, che si trovano in tutt’Italia), oppure le tante ottime marche locali, se si vive in Valtellina, oppure se si vive in Lombardia o nel Trentino, dove si trova facilmente e a prezzi ragionevoli la farina di saraceno, prepararli freschi in casa sostituendo però la farina bianca proposta dalle solite ricette con la farina integrale di grano tenero o, per i più bravi, con la semola integrale di grano duro.
Far bollire in acqua abbondante e ben salata i soli pizzoccheri secchi per circa 15 minuti di cottura (o comunque il tempo indicato sulla scatola). Evitare che attacchino sul fondo e si uniscano tra loro mescolando spesso con la paletta di legno. La buona cottura è fondamentale: niente pasta “al dente”.
Nel frattempo far stufare al vapore o in pentola a pressione le verze, tagliarle in piccoli pezzi e insaporirle con poco sale. Affettare in scaglie il formaggio. Spremere con lo spremi-aglio 1-2 spicchi d’aglio in una tazzina di 4-5 cucchiai di olio e amalgamare con la forchetta. Versare nella salsina abbondanti erbe aromatiche molto ben sbriciolate all’istante e pepe, amalgamando.
Scolare i pizzoccheri, mescolarli con un cucchiaio di legno rapidamente ma delicatamente in una grande zuppiera con le verze e la salsa aromatica. Versare subito pizzoccheri conditi e verze, ancora bollenti, in una caldissima teglia di ceramica da portata, a strati. Su ogni strato spargere le fettine di formaggio e poi coprire con un altro strato di pizzoccheri conditi. Riservarsi l’ultima parte di salsina aromatica da versare sopra. E’ possibile anche gratinare al forno.
2. Pizzoccheri: ecco la ricetta più leggera (pasta e verdure), più ricca di verdure e salutare.
Un’interpretazione leggera e mediterranea, molto sana, l’ideale per chi ama le verdure forti e il loro perfetto abbinamento col gusto unico dei pizzoccheri (cioè del saraceno), e non li vuole “coprire” e appesantire dieteticamente con sapori eccessivi e invadenti come formaggi e burro. Va bene anche per i vegetariani stretti (vegan). Basta seguire la ricetta precedente togliendo del tutto il formaggio. Verdure, aglio ed erbe aromatiche possono anche essere aumentate a piacimento.
3. Pizzoccheri: ecco la ricetta più sana, antiossidante e leggera (soli pizzoccheri), l’ideale per chi ama il sapore del saraceno.
Ma per i gourmet del saraceno, per i veri appassionati dei pizzoccheri in sé, scusate, non c’è che questa ricetta, diciamo integralista: solo pizzoccheri. E’ il modo migliore per mettere in evidenza il gusto del saraceno (e profittare in pieno delle sue proprietà protettive). Va bene, ovviamente, anche per i vegetariani stretti (vegan). Ebbene, è incredibile il sapore che sprigionano queste tagliatelle se, dopo averle fatte bollire con l’attenzione e i segreti di cui alle precedenti ricette, le si consuma da sole, condite unicamente di buon olio extra-vergine, erbe aromatiche a volontà. Per questo, ma è questione di preferenze personali, ho trovato più indicato il timo selvatico o il serpillo di monte secco sbriciolato con le mani direttamente sul piatto fumante, meglio se accompagnato o da aglio spremuto nell’olio dallo spremi-aglio o da mezzo cucchiaino di polvere di zenzero: con i tre componenti si può preparare una salsetta con cui rimestare un attimo prima di versare nei piatti). Semplicissimo, ma molto indovinato.
IMMAGINI. 1. Pizzoccheri corti secchi come si trovano nella scatole in commercio. 2. Pizzoccheri freschi fatti in casa sulla spianatoia.
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