I Viali Megalitici di Carnac

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“Tutte queste pietre erano una volta un antico cimitero gallico. Per ogni morto si metteva una pietra; se era ricco se ne metteva una grossa, se era povero, una piccola…”.

 

Questa breve frase tratta dal libro che raccoglie tutte le leggende relative a Carnac, pubblicato nel 1909 da Zacharie Le Rouzic, riassume una delle prime sensazioni suscitate dalla visita del sito, ovvero quella di trovarsi di fronte ad un antico cimitero. Migliaia di pietre, dalle forme più o meno regolari, si perdono all’orizzonte, spesso confuse nelle nebbie e nei colori della brughiera bretone, e benché osservate dalle estremità dei rispettivi allineamenti appaiano seguire una geometria precisa, da qualsiasi altro punto trasmettono la sensazione di uno sterminato, caotico campo funebre.

Ma il folclore locale, riferendosi ad una lunga tradizione che risale al XVIII secolo, identifica nei viali di pietre anche migliaia di soldati romani pietrificati dal patrono di Carnac, San Cornelio, descritto dalla leggenda come un antico papa di Roma ivi scacciato nel III secolo. Durante la fuga Cornelio pietrificò i suoi inseguitori e, essendo stato aiutato dai buoi ne divenne il protettore. Ancora oggi è possibile vedere la sua immagine nell’atto di benedire due di questi animali su uno sfondo di menhir, nella chiesa dedicatagli nel 1639 ed eretta nel centro di Carnac, dove il 13 settembre di ogni anno i contadini portano gli armenti per la benedizione. Questo culto è stato alimentato dal ritrovamento, nelle vicinanze, di testimonianze rituali dedicate al bestiame, tra cui il disegno di due tori dalle lunghe corna a forma di lira punteggiate sulla lastra di copertura del Dolmen di Gravins.

Tuttavia la figura del patrono e della processione autunnale a lui dedicata ha molto poco di cristiano, intrecciandosi invece con un culto più spiccatamente pagano (o forse druidico). Innanzi tutto il simbolismo di un animale con le corna riconduce più a qualcosa di esoterico che mal si accosta al simbolo cristiano della croce. Inoltre la cerimonia del 13 settembre si compie secondo uno strano rito: i fedeli compiono un giro del paese a formare un cerchio intorno ad una fontana (forte simbolo druidico), davanti alla quale il prete bagna il vischio benedicendo i presenti attraverso la recita di un motto.

Un po’ in tutta la Bretagna appare evidente quanto la religione cristiana sia più un orpello, una veste secondaria sovrapposta ad un potente culto di matrice pagana. Ed anche spostandoci più ad ovest la situazione non cambia. Ne sono un esempio la cattedrale di Chartres, dove la funzione religiosa è pesantemente subordinata da una serie di simbolismi architettonici, scientifici e cultuali, nonché la piccola chiesa di Trehorenteuc, nella foresta di Broceliande (la mitica terra del mago Merlino), dove tutto riconduce alla leggenda dei Cavalieri della Tavola Rotonda e del Santo Graal e non si trova alcun simbolo o vestigia di natura cristiana.

Ma allora chi era realmente S. Cornely? E di chi è la paternità del simbolismo megalitico che permea l’intera Bretagna?

 

Le pietre di Carnac

 

“Quel reggimento di pietre, quello stupefacente esercito di rocce informi.. Invano l’osservatore troverebbe parole atte a descriverli, e non essendovi riuscito è costretto a confessare che qualsiasi idea o immagine che poteva essersene fatta, non ha nulla a vedere con quel che si trova dinanzi. Il gran numero di pietre con le loro bizzarre disposizioni, l’altezza raggiunta dai loro contorni allungati grigi, muscosi, che si innalzano dalla bruna erica in cui affondano le loro radici e, finalmente, la profondissima quiete che li circonda, accendono la fantasia e colmano l’animo di una malinconica venerazione per questi antichi testimoni di tanti e tanti secoli..”

 

Era il 1827 quando il cavaliere di Frèminville descriveva così la visione dei viali megalitici. E sebbene siano passati quasi due secoli da allora, alla luce della visita da me effettuata al sito, non posso fare altro che aggiungere che, probabilmente, quelle sono le sensazioni di chiunque vada a contemplare quel luogo il cui fascino doveva esistere già prima di accogliere le grandi pietre.

Eppure siamo in Europa, a pochi passi da città caotiche ed ultra tecnologiche. Ma in Bretagna, rinomata per i suoi cibi tradizionali e le rive selvagge delle sue coste perennemente battute dalla furia dei venti e delle acque tempestose dell’Oceano Atlantico, il tempo sembra essersi fermato all’epoca grandiosa che vide la realizzazione delle miriadi di costruzioni di pietra. E nella piccola cittadina di Carnac possiamo ammirarne una delle manifestazioni più eclatanti: il più grande raggruppamento di megaliti esistente al mondo che, probabilmente, era ancora più nutrito prima di subire l’opera di demolizione ed incuria messa in atto dai contadini della zona, da sempre irritati dalla presenza di fastidiosi “ostacoli” sulle loro terre, peraltro attrazione per migliaia di turisti curiosi che ogni anno si avvicendano nella visita, aggirandosi tra le loro proprietà.

Per ben 4 km di estensione 2730 menhir sono allineati in 4 complessi che, seppur separati e di diverse dimensioni, sembrano essere l’uno il proseguimento dell’altro. Ed è molto probabile che un tempo fossero collegati anche laddove oggi sono presenti strade e abitazioni e che il loro significato debba essere interpretato considerandoli una struttura unica.

Ma i menhir non sono le uniche testimonianze megalitiche che si trovano nei dintorni di Carnac: dolmen, tumuli ed altre costruzioni dal significato ancora oscuro costellano letteralmente la regione francese, in particolare nelle porzioni occidentale (Finìstere) e meridionale (Morbihan), nonché nelle isole dell’omonimo Golfo. Ma perché proprio questa zona? Chi furono i costruttori? Ma soprattutto, quale fu il fine di questo colossale sforzo?

 

 

Gli allineamenti

 

“Le Menéc” (Luogo delle pietre)

 

E’ il complesso più imponente, e si sviluppa partendo dal minuscolo, omonimo villaggio, riunendo 1169 menhir raggruppati in 11 file su una lunghezza di 950 m, ed un’ampiezza di circa 100 m.

I massi sono collocati in base alle dimensioni: i più giganteschi, alti intorno ai 3.5 m, sono ubicati all’inizio dell’allineamento, sul lato ovest, e diminuiscono la loro altezza gradualmente fino a misurare, all’estremità opposta, neanche 1 m.

All’estremità occidentale dell’allineamento troviamo inoltre i resti di un recinto ovale di 90 per 70 metri del quale sono rimaste erette 71 pietre (alte in media 1.2 m) letteralmente insinuate tra le case del villaggio. Nel centro dell’allineamento spicca il “Gigante del Menéc”, un grande menhir alto 3.50 m spostato verso nord rispetto alle file di menhir, quindi presumibilmente anteriore agli allineamenti.

Il complesso, orientato verso nord-est – sud-ovest, sembra indicare un punto dell’orizzonte ove attualmente si leva il Sole il 6 maggio e l’8 agosto, date che probabilmente avevano un significato per fini agricoli e/o propiziatori.

 

“Kermario” (Luogo dei morti)

 

Procedendo verso est di circa 600 metri rispetto a Le Mènec si incontrano gli allineamenti di Kermario che sono anche i più imponenti. Essi si sviluppano su 1100 metri e contengono 982 menhir raggruppati in 10 file orientate anch’esse verso nord-est – sud-ovest.

I megaliti più grandi sono alti più di 6 m e, come per “Le Menéc”, diminuiscono le loro dimensioni via via che si procede verso est, dove tre grandi massi si innalzano con disposizione perpendicolare rispetto ai massi dell’allineamento. Anche la distanza tra le file diminuisce leggermente.

Probabilmente anche all’inizio di questo allineamento vi era un Cromlech, dove ora sorge un parcheggio ed un certo di accoglienza turisti, mentre sul lato ovest, all’inizio dell’allineamento si trova ancora un dolmen a corridoio.

L’orientamento del complesso indica il punto di levata del Sole nel giorno del solstizio estivo.

 

Più a sud si erge il tumulo di Kercado. Esso è formato da un corridoio che termina in una camera sepolcrale di forma quadrata nel cui interno sono stati ritrovati resti organici. La loro analisi con il metodo del C 14 ha permesso di datare la struttura al 6700 A.C., rendendola la costruzione più antica d’Europa.

 

A nord di Kermario si erge invece il grande menhir di “Le Manio” insieme al quadrilatero di Crucuno. Quest’ultimo, formato da 22 pietre, presenta le diagonali puntate verso i punti di levata del Sole nei giorni dei due solstizi, mentre i lati sono diretti verso i punti di levata e tramonto dell’astro nel giorno degli equinozi.

 

 

“Kerlescan” (Luogo della cremazione)

 

Si trova sul prolungamento di Kermario, circa 300 metri ad est. E’ costituito da 579 menhir disposti in 13 file estese per 350 metri con una configurazione a ventaglio, i cui lati puntano verso i punti i levata del Sole nel giorno degli equinozi. Anche qui i menhir diminuiscono la loro altezza procedendo verso est, variando dai circa 4 m iniziali a meno di un metro verso la fine. L’estremità ovest dell’allineamento è delimitata da un recinto quadrangolare largo 80 metri e lungo 90, con pietre alte da 2 a 2.5 metri e un lungo tumulo terminante a menhir sul lato nord.

 

“Petit Menèc”

 

Infine qualche centinaio di metri più avanti si erge il complesso, più modesto, del Petit Menèc.

A dire il vero trovarlo è una vera e propria impresa visto che non è minimamente segnalato se non vagamente in una cartina fornita dall’ufficio turistico della zona. Una volta imboccato un viottolo che si diparte dalla strada principale, dopo qualche decina di metri ci si trova all’interno di una fitta vegetazione. Qui, parzialmente ricoperti da muschi e piante rampicanti, compaiono i fatidici menhir. Saranno un centinaio, anch’essi allineati in file, ma spesso alcuni paiono essere isolati dagli altri a causa della folta vegetazione che interrompe, ricoprendola, la sequenza dell’allineamento. Presentano altezze medie che si aggirano intorno al metro. Devo dire che la passeggiata lungo il sentiero che li attraversa è veramente suggestiva. Molti menhir si percepiscono solo con la coda dell’occhio, altri appaiono all’improvviso celati da qualche albero, il tutto accentuato dai giochi di luce del sottobosco; la sensazione può essere tanto elettrizzante quanto inquietante.

 

Il significato astronomico dei megaliti di Carnac: il grande osservatorio lunare della Baia di Quiberon

 

Sulla base delle innumerevoli correlazioni astronomiche riscontrate nei monumenti megalitici di tutto il mondo, anche a Carnac sono stati compiuti studi finalizzati a scoprire eventuali riferimenti celesti. Nella descrizione degli allineamenti abbiamo visto come essi siano orientati verso una precisa direzione, e come anche le costruzioni secondarie mostrino degli elementi (o la disposizione stessa) volti a segnalare i punti di levata del Sole nei giorni degli equinozi e dei solstizi.

Tuttavia il professor Alexander Thom, ex docente di ingegneria presso l’Università di Oxford, che si dedicò allo studio del sito francese tra il 1970 ed il 1975, non si fermò alla semplice individuazione dei riferimenti celesti più comuni, ma si spinse nel considerare un’area ben più vasta della singola Carnac, all’interno della quale erano presenti altri elementi importanti che potevano suffragare l’ipotesi che il sito fosse parte di un sofisticato osservatorio lunare.

Quiberon è la penisola che si trova a sud della cittadina di Carnac, nell’omonima Baia, distante circa 8 km (in linea d’aria) dagli allineamenti appena descritti. In questa zona si trovano numerose testimonianze megalitiche tra le quali la più famosa e peculiare è senza dubbio il “Gran Menhir Brisè” o “Er Grah”, termine bretone che significa Pietra delle Fate. Pesante circa 350 tonnellate ed alto originariamente più di 20 m, questo colosso di pietra granitica giace ora a terra frammentato in quattro grandi pezzi. Sebbene non sia ancora chiara la causa della caduta (alcuni la imputano ad un terremoto, altri all’opera di un fulmine) è evidente che originariamente doveva essere eretto, e rivestire un’importanza specifica. Ma quale?

Thom ha ipotizzato che il grande menhir poteva essere il punto di riferimento centrale, una sorta di mirino, di un complesso esteso per una quindicina di chilometri lungo la costa meridionale della Bretagna, avente come funzione quella di osservare i movimenti lunari.

L’astro veniva visto sorgere e tramontare quando assumeva in cielo posizioni particolari, ovvero la massima e minima declinazione positiva e negativa (vedi articolo Stonehenge, Hera ..), da alcuni particolari luoghi, usando come riferimento il Gran Menhir “traguardato” da altri punti, (prevalentemente tumuli). E siccome il paesaggio bretone e non ospita rilievi naturali utilizzabili come punti di riferimento, solo un elemento artificiale molto grande (come appunto una pietra) poteva fungere da mirino per allineare i punti di levata a tramonto di un astro, a patto che potesse essere ben visibile da quasi tutte le angolazioni e per una grande distanza. La conformazione topografica di Locmariaquer (la località in cui si trova il menhir) è l’ideale: circondata dai tre lati dalle acque e con penisole disposta a 90°.

A suffragio di questa ipotesi lo scienziato ha indicato otto posizioni principali dalle quali era possibile osservare la Luna, sulla base di accurate ricostruzioni morfologiche del paesaggio del tempo. Tuttavia, in tempi recenti svariati punti di osservazione sono stati occultati.

L’altra pietra a capo della quale, sempre secondo l’autore, furono costruiti altri sei allineamenti, è il menhir di “Le Manio”, di cui abbiamo già parlato. Anche quest’ultimo, alto circa 6 m, sarebbe stato il riferimento di altre pietre o tumuli, con lo scopo di indicare le posizioni lunari in particolari momenti del suo ciclo.

Secondo questa teoria, quindi, i viali di pietre non avevano un ruolo diretto nella previsioni degli eventi astronomici, tuttavia potevano racchiudere una serie di forme geometriche che fornivano indicazioni a complemento del complesso principale.

I riferimenti astronomici individuati da Thom sono solo due degli svariati ipotizzati (per informazioni più dettagliate vedi “Journal for History of Astronomy” Vol. 2 1971; Vol. 3 1972 p.11; Vol. 3 1972 p.151), tanto che parlare di coincidenze, in nome del calcolo delle probabilità, sarebbe sinceramente poco scientifico. Senza considerare le altre potenziali indicazioni astronomiche che sono ancora da scoprire o che, forse, non verranno scoperte mai, in quanto oggi non abbiamo alcuna informazione esatta sui culti di quei popoli se non qualche notizia frammentaria distorta da leggende millenarie.

Chi fu l’artefice?

 

Di fronte al fenomeno megalitico scaturiscono spontanei gli stessi quesiti che suscitano le Piramidi d’Egitto: come furono erette queste grandi pietre? Quale era il loro reale utilizzo? Chi furono i costruttori?

Abbiamo visto che a Carnac sono presenti rocce che arrivano a pesare anche centinaia di tonnellate. E se è vero che l’erezione di queste ultime poteva essere affrontata, seppur con notevoli sforzi, con l’utilizzo di funi e lo scavo di fossati, il problema del trasporto rimane un vero mistero. Infatti la composizione mineralogica di parecchie rocce è diversa da quella locale, quindi viene da se che questi colossi sono stati importati in sito da altri luoghi, affrontando problemi ingegneristici veramente notevoli.

Di conseguenza viene altresì da domandarsi il perché di tutto questo lavoro. Se veramente le rocce dovevano avere solo un significato simbolico, allora non erano importanti la mole e tanto meno una fattezza mineralogica specifica. Invece notiamo che all’interno dei complessi nulla è casuale: sia per ciò che concerne la composizione mineralogica, sia per la disposizione, che segue regole geometriche precise in base alle dimensioni, all’altezza ed alle distanze reciproche dei monoliti.

Anche qui come per altre costruzioni nel mondo l’ipotesi astronomica si rivela la più plausibile o quantomeno l’unica che si basa su dati oggettivi e non su congetture a carattere religioso che non attingono da nessun elemento concreto ma da notizie spesso frammentarie e confuse.

Ma chi fu l’artefice di quest’opera?

Siamo in piena età Neolitica, ovvero tra il 5000 ed il 2000 A.C.; prima che la Mesopotamia diventasse la culla della civiltà; quando l’Egitto era dominato da pastori nomadi che adoravano gli Dei, un popolo sconosciuto sentì l’esigenza di comunicare qualcosa innalzando delle grandi pietre, compiendo uno sforzo immane. Un popolo senza dubbio misterioso: venuto dal nulla e scomparso nel nulla, lasciandosi dietro un’opera tra le più maestose che possiamo ammirare sul nostro pianeta. Opera che è solo l’anello di una catena che lega tutte le costruzioni megalitiche presenti nel mondo, manifestazioni di un’unica cultura in cui spiccavano raffinate conoscenze astronomiche e progredite nozioni tecniche.

Alcuni attribuiscono questi prodigi ai Druidi, i sacerdoti del popolo dei Celti, nonostante non esista neppure una fonte letteraria in cui si accenni a cerimonie druidiche celebrate presso i circoli di pietre. Inoltre questi ultimi fecero il loro ingresso nella storia tra il VI secolo A.C. e l’inizio del secolo successivo, quindi con un paio di millenni di ritardo rispetto all’età presunta delle costruzioni in questione.

Possiamo quindi a malincuore affermare che il mistero che avvolge Carnac è più fitto di quello di qualsiasi altra località megalitica, in quanto nessun quesito ha trovato una risposta plausibile. Se è vero infatti che la paternità di queste costruzioni rimane in assoluto sconosciuta, è anche vero che in svariati complessi, come il famoso Stonehenge in Inghilterra, sono stati estrapolati risultati soddisfacenti relativamente alla loro funzione; su Carnac, invece, ogni ipotesi assume le vesti scomode di una semplice congettura povera di elementi concreti ed è quasi sorprendente riscontrare come così pochi lavori siano stati rivolti all’interpretazione della sua reale funzione.

Forse non carpiremo mai il segreto delle pietre di Carnac, ma vi posso garantire che se la tecnologia ci vieta di tornare indietro nel tempo, è sufficiente una visita attraverso questa terra incantata per vivere sensazioni che sicuramente non appartengono a questa epoca.

 

Sabrina Mugnos

 

 

 

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